Una prospettiva per comprendere alcune dipendenze è quella di vedere questi comportamenti non tanto nei termini di una ricerca del piacere che lenisca il disagio per compensazione (cerco di produrre piacere che contrasti il dispiacere), ma considerarli come un uso di esperienze transitorie di tipo dissociativo per gestire il proprio malessere interiore.
La dissociazione
La dissociazione è un meccanismo di difesa. I meccanismi di difesa hanno sempre lo stesso obiettivo: attenuare il dolore che le esperienze vissute o l’ansia possono scatenare nella psiche ed evitare il rischio di essere sopraffatti fino a crollare. Si tratta quindi di meccanismi mentali adottati per difendere la psiche della troppa sofferenza. Purtroppo, l’uso di queste strategie, che lì per lì risulta utile, non è mai indolore ma ha un costo talvolta molto elevato. Esso consiste nel fatto che le funzioni mentali perdono di flessibilità, si creano una serie di distorsioni nella percezione, nella rappresentazione, nei significati emotivi che attribuiamo alle nostre esperienze e al senso di noi stessi. E’ un po’ come se per difenderci dal dolore che provoca il vedere la realtà esterna decidessimo di accecarci per non soffrire….
La dissociazione è uno dei tanti meccanismi di difesa disponibili. Esso tenta di gestire la sofferenza dividendo l’esperienza in comportamenti stagni. In questi casi le esperienze troppo difficili da gestire sono inserite in una specie di mondo parallelo in cui il protagonista è come se non fossi io ma un altro me… Anche gli altri, che hanno partecipato alla scena fonte di dolore, non sono gli altri con cui mi relaziono in altre circostanze, pur essendo le stesse persone: sono entità differenti, personaggi venuti chissà da dove, che sembrano slegati dal resto dell’esperienza. Chi entra in uno stato dissociato, vive l’esperienza dolorosa in uno stato di stand by, come se si avesse la necessità di spegnersi per lasciare che il temporale passi… Come se si potesse abbandonare sé stessi nel frangente in cui le emozioni strabordano, quando la paura diventa ingestibile.
Le conseguenze per chi utilizza abitualmente la dissociazione per affrontare la sofferenza sono piuttosto importanti perché viene danneggiato il Sé; è compromesso il senso della propria continuità (la consapevolezza che l’esperienza vissuta sia un’unica storia) , si vivono stati alterati di coscienza (per esempio può esserci la sensazione di non essere il protagonista delle proprie esperienze, o sentirsi come se si fosse all’esterno di se stessi e delle cose che capitano, oppure può capitare di vivere alcune situazioni come se si stessero sognando). La persona non fa più una esperienza di sé unitaria, ci può essere addirittura una specie di sdoppiamento, come se in certi momenti il soggetto fosse un personaggio con certi pensieri, emozioni e con una certa individualità e in altri momenti cambiasse per diventare un altro personaggio con caratteristiche anche molto diverse.
Anche se nel corso della vita, fin dalla più tenera età, i meccanismi dissociativi possono proteggere la psiche dall’inondazione della sofferenza, se usati eccessivamente c’è il rischio che si generi una parte scissa della personalità che si sottrae alla realtà, che vive come una personalità secondaria, che risulta scissa, che non è controllabile da parte della personalità primaria del soggetto.
Dipendenza come dissociazione
Una volta descritti i meccanismi dissociativi come strumenti che la mente utilizza per affrontare la sofferenza, possiamo affermare che anche le dipendenze possono essere viste in questi termini. Chi per esempio soffre di dipendenza da sostanze o di ludopatia (dipendenza dal gioco..) o chi vive dipendenze da altri comportamenti (per esempio sessuali, shopping compulsivo, ecc..), fa l’esperienza di essere come posseduto dall’oggetto di dipendenza e vive il rapporto con esso come se si trattasse di una parentesi spazio temporale fuori dalla realtà quotidiana che ha vita propria, in cui agisce un me che non è il me che affronta le giornate, che lavora o studia, che gestisce i figli, che progetta le vacanze. Per questo si dice che siamo in presenza di un Sè dissociato.
La dipendenza da un oggetto specifico può essere visto, secondo Stainer , come un rifugio della mente (Steiner, 1993), un luogo mentale dissociato fatto di comportamenti ripetitivi, riti, abitudini, in cui ci si ritira quando si desidera sfuggire a una realtà insostenibile e angosciosa. Per esempio, il videogioco che assorbe un ragazzo proiettandolo in una esistenza altra è un rifugio della mente perché è un luogo in cui nascondersi per evadere da una situazione esterna (familiare o sociale) o interna (affettiva) che dà angoscia.
Spesso ciò da cui si fugge ha a che fare con il dolore psichico connesso con la perdita o con la paura della perdita. E’ legato ai temi della separazione, del lutto, della morte, al senso di isolamento e di solitudine profonda.
Come affrontare le parti aggressive/perpetratrici?
Queste parti assumono generalmente strategie difensive che imitano l’aggressore e che spesso ostacolano il benessere del paziente. Sono parti che possono attivarsi in momenti di progresso, di ritrovato benessere del soggetto, ricordandogli di non abbassare mai la guardia! Hanno in genere il ruolo di “paladine della sicurezza” e l’unico modo che abbiamo per aiutare la persona a stare meglio è chiedere a queste parti di collaborare, di aiutarci a capire il loro ruolo e la loro importanza nel sistema, anziché cercare di eliminarle o peggio esserne spaventati.